Marco Boato - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||
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È passato un mese dalla scomparsa di don Loris Capovilla, l'antico segretario di papa Giovanni XXIII, nominato cardinale da papa Francesco nel concistoro del 22 febbraio 2014, quando aveva 98 anni. La morte è avvenuta a 100 anni e 7 mesi lo scorso 26 maggio nella casa di cura Palazzolo, dove era stato ricoverato il precedente 8 aprile per una complicazione polmonare. Ho scritto ampiamente di lui sulle pagine dell'Adige sia nel gennaio 2014, quando l'ho definito «testimone vivente dell'era giovannea», dopo l'inatteso annuncio all'Angelus del 12 gennaio da parte di papa Francesco della sua decisione di «crearlo» cardinale, sia nell'ottobre 2015, in occasione del suo centesimo compleanno. Quando nel 1953 l'appena nominato cardinale e patriarca di Venezia Angelo Roncalli, proveniente dalla Nunziatura di Parigi, decise di scegliere come proprio segretario particolare quel giovane prete (38 anni), di straordinarie qualità ma con qualche problema di salute, il vicario di allora gli disse: «Eminenza, forse non è opportuna questa scelta. Si tratta di un ottimo sacerdote, ma ha una salute cagionevole». Il patriarca Roncalli gli rispose benevolmente: «Vorrà dire che eventualmente morirà come mio segretario?». Eravamo nel 1953 e Don Loris (come noi amici e familiari l'abbiamo chiamato per tutta la vita) è arrivato in piena lucidità mentale, con una memoria prodigiosa («è questo il mio computer» rispondeva ironicamente, indicando la propria testa, a chi gli suggeriva di cominciare ad abbandonare la sua vecchia macchina da scrivere), a superare il secolo di età, e probabilmente sarebbe ancora vissuto se non fosse incorso in una banale malattia di stagione, purtroppo compromettente a quell'età. In questi anni e decenni sono andato regolarmente a trovarlo a Sotto il Monte, dove viveva nella semplice casa-museo di Camaitino, che era stata dimora estiva di Roncalli prima della elezione al papato. Innumerevoli le lunghe telefonate e gli scambi epistolari, che duravano fin dalla mia adolescenza (l'avevo conosciuto quando avevo 8 anni e le nostra amicizia, cresciuta e consolidatasi nel tempo, è durata per 64 anni). Un rapporto di paternità spirituale e di amicizia filiale e fraterna che ha attraversato il percorso che da Venezia ha portato al Vaticano, con Giovanni XXIII e poi con Paolo VI (che lo nominò anche perito conciliare), quindi a Chieti (dov'era stato nominato arcivescovo) e da ultimo al santuario di Loreto (Delegato pontificio). Ritiratosi prima ad Arre (dove nel padovano c'è un nucleo parentale dei Capovilla) e poi dal 1989 a Sotto il Monte, non ha mai cessato di leggere, scrivere, studiare, pregare, con una intensità strabiliante di relazioni in tutto il mondo. Accoglieva con la stessa dignità sia vescovi e cardinali, ambasciatori e personalità politiche, come le persone più semplici e umili che gli rendevano incessantemente visita, memore delle sue radici familiari e delle difficoltà economiche tra la povera gente (suo padre Rodolfo morì il 26 maggio 1922, quando lui aveva appena 6 anni: e Don Loris è morto in quello stesso 26 maggio). Era attento alle vicende della chiesa cattolica, ma anche, nello spirito ecumenico giovanneo e conciliare, alle altre chiese cristiane e alle altre religioni. Era in dialogo con uomini credenti cristiani e di tutte le fedi, ma anche con la massima apertura con uomini che io una volta definii con lui «non credenti», ma Don Loris mi corresse: «Sono piuttosto persone in ricerca». Dal giorno del suo ricovero nella clinica Palazzolo, l'8 aprile, sono stato informato quotidianamente dal suo ottimo giovane collaboratore e segretario degli ultimi 15 anni, Ivan Bastoni, la persona che gli è stata più vicina nell'ultimo periodo della sua vita e che ha raccolto le sue ultime volontà testamentarie. Da quel giorno invece che a Sotto il Monte ho cominciato una pendolarità sempre più assidua con Bergamo. Nelle prime settimane del ricovero nulla era cambiato, nonostante la malattia: Don Loris voleva essere informato di tutto e di tutti. Accanto al suo letto chi gli era vicino gli leggeva le notizie più importanti, articoli di giornali e riviste e raccoglieva i suoi commenti, le sue analisi sempre aggiornate e lucidissime. Personalmente gli ho letto lo straordinario discorso di papa Francesco sull'Europa in occasione del premio «Carlo Magno», tutte le pagine dell'Adige in occasione dell'ingresso del nuovo vescovo Don Lauro Tisi, un lungo editoriale della rivista trentina «Presbiteri» che apprezzava molto, una bella biografia (uscita su un numero speciale di «Micromega» dedicato a papa Francesco) di fra Arturo Paoli, morto l'anno scorso a 102 anni («Don Loris, allora anche lei può arrivare fin là?», gli dicevo per incoraggiarlo, e lui, in risposta: «Non voglio che tu vada via»). È rimasto lucido e cosciente fin quasi alla fine, ma via via le condizioni si sono aggravate, le sofferenze sono aumentate. A illuminarlo e confortarlo lunedì 16 maggio è arrivata l'ultima telefonata, quella di papa Francesco, che dopo avergli parlato all'inizio del suo pontificato nel 2013 e dopo averlo nominato cardinale nel 2014 ora lo accompagnava con le sue parole verso l'appuntamento finale. Un appuntamento verso cui l'ho personalmente confortato fino all'ultimo respiro. La nomina a cardinale - che non aveva cambiato in nulla le sue abitudini e anche il suo modo dimesso e semplice di vestire (salvo il giorno della solenne consegna della berretta cardinalizia da parte del card. Sodano) - aveva davvero rappresentato uno straordinario riconoscimento (a 98 anni!) del suo ruolo a fianco di papa Giovanni XXIII, che lo stesso Francesco avrebbe portato alla canonizzazione, fino al Concilio Vaticano II e all'enciclica «Pacem in terris», ancor oggi di straordinaria attualità. Don Loris, oltre al suo impegno pastorale ed episcopale, ha dedicato tutta la sua vita a custodire e a far conoscere sempre più la memoria di papa Roncalli, collaborando anche con istituzioni, fondazioni, gruppi di storici, che l'hanno riconosciuto come «l'evangelista di papa Giovanni». Ora Don Loris, come ha lasciato scritto a Ivan Bastoni, è sepolto «sulla nuda terra» nel piccolo cimitero di Fontanella di Sotto il Monte, a pochi metri dalla semplice tomba di padre David Maria Turoldo, dopo essere stato salutato per sempre prima dai familiari e dagli amici e collaboratori a Camaitino e poi anche nella Chiesa parrocchiale di Sotto il Monte, con tredici vescovi e oltre 150 sacerdoti concelebranti, alla presenza di una folla enorme di fedeli. Dopo che lui ha dedicato tutta la sua vita a papa Giovanni, bisognerà fare uscire dall'ombra della sua riservatezza e umiltà («mettere il proprio io sotto i piedi») questa straordinaria figura di cardinale, vescovo e sacerdote, ma soprattutto di uomo buono e giusto. Marco Boato
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MARCO BOATO |
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